Per milioni di anni la natura ha imparato a creare tutti i materiali e le sintesi di cui aveva bisogno, il guscio del granchio, la corteccia protettiva dell’albero, la membrana delle foglie per la fotosintesi, persino gli esplosivi. L’uomo ha provato sin da subito a competere con la natura, creando lui stesso nuovi materiali, inizialmente solo con semplici trasformazioni realizzate con il riscaldamento. Nel corso del 19° e 20° secolo, invece, abbiamo iniziato a produrre in laboratorio nuove molecole “sintetiche”, alcune perfettamente uguali a quelle presenti in natura (non c’è differenza tra l’acido ascorbico – vitamina C – prodotto per sintesi dal glucosio e quello estratto dalle arance!), altre modificate o completamente nuove realizzate utilizzando risorse fossili come catrame e petrolio. Così, siamo passati velocemente dalla scoperta e utilizzo di uno scarto del carbone per l’illuminazione (catrame) come disinfettante per le sale operatorie (vedi il fenolo utilizzato da un chirurgo inglese nella prima metà dell’800), alla sintesi di nuove molecole per gli attuali coloranti, medicine, materie plastiche, gomma e ad una infinita gamma di materiali di sintesi.
La storia della gomma, per esempio, offre non pochi spunti di riflessione per i progetti di innovazione. Nel 1700 un geografo francese (La Condamine) scopre in America Latina, che alcune popolazioni indigene usano estrarre dalle piante un liquido viscoso (caucciù) e lo modellano su di un fuoco fumoso per realizzarne scarpe, contenitori, cappelli ed altri utili oggetti. Nasce così la corsa alla gomma e allo sviluppo commerciale dei suoi derivati che, passando per lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali e dalle aberrazioni della schiavitù, ha visto evolversi i materiali sino ai moderni polimeri di sintesi ed alla plastica.
Le molecole della gomma, quindi, erano fornite dalla natura, un polimero (molecole che si legano l’una all’altra in una sequenza a catena) delle molecole di “isoprene”. La molecola di isoprene (C5H8), composta semplicemente da 5 atomi di carbonio e 8 di idrogeno, è la più piccola molecola presente in tutti i polimeri “naturali”. Inventori e scienziati cercano di utilizzare la gomma per vari usi, con non pochi esempi di fallimenti dovuti dalla difficoltà di governare i legami tra le catene polimeriche. Da qui in poi inizia la contaminazione, dapprima utilizzando additivi per riuscire a rendere i legami più stabili per rendere il materiale più durevole in base all’uso e più facilmente utilizzabile nei processi industriali (vedi lo zolfo nel caso della gomma vulcanizzata, invenzione del sig. Goodyear) e poi realizzando polimeri sintetici diversi dall’isoprene (presente in natura) ma con proprietà strettamente correlate a quelle della gomma naturale.
Oggi, non possiamo demonizzare tutti i processi di sintesi inventati dall’uomo, valga su tutti l’esempio della Vitamina C riportato sopra, tuttavia, dall’inizio del secolo scorso in poi, le grandi aziende della chimica (BASF, BAYER, Standard Oil – vedi accordo IG Farben/ Standard Oil del 1929) hanno realizzato prodotti commerciali non sempre propriamente neutri per la salute dell’uomo. Nel 1963, due scienziati Natta e Ziegler rivoluzionano il sistema di produzione della gomma e della plastica (entrambi ricevono poi il premio Nobel per la chimica), con l’invenzione di processi di sintesi con cui diventava possibile realizzare materiali più resistenti, durevoli, rigidi o flessibili, non attaccabili da solventi o luce ultravioletta, resistenti a escursioni termiche. Questi stessi materiali oggi hanno rivelato i loro drammatici limiti, tanto che se non si sapesse che la famiglia Nobel produceva esplosivi saremmo tentati di chiedere la revoca del premio a Natta e Ziegler!
I materiali di sintesi derivati dal petrolio scontano, infatti, il fatto di avere origine da materiale fossile per sua natura non rinnovabile e hanno un potenziale inquinante in termini di produzione eccessiva immessa in atmosfera nella fase di fine vita di biossido di carbonio (CO2) ed altri composti tossici come le diossine tra cui quelle contenenti molecole di cloro sono le più velenose. Proprio questi additivi, necessari per la produzione industriale rendono di fatto poco riciclabile gran parte delle gomme e delle plastiche commerciali di oggi; nulla si crea e nulla si distrugge, pertanto gli atomi di carbonio, idrogeno, cloro e altri che ritornano in atmosfera comprendono gli stessi atomi in formulazioni diverse (CO2, diossine, ecc.).
Quali le strade per l’innovazione eco-sostenibile?
Sicuramente non possiamo negare le conoscenze acquisite nella sintesi delle molecole come di anche dei progressi della biotecnologia, d’altro canto il ritorno all’uso dei materiali naturali, anche se rinnovabili, potrebbe non essere un’alternativa “eco-sostenibile” dal punto di vista dell’impronta ambientale (qualsiasi produzione vegetale comporta impiego di suolo, acqua, energia e chimica di supporto!) oppure economicamente percorribile.
Per la ricerca sui materiali è possibile sintetizzare le sfide in pochi punti:
- Re-design; progettare un nuovo schema (nuovo concept di prodotto) che elimini determinati materiali e comprenda, già nella sua concezione, componenti non tossici nel fine vita, riutilizzabili, riciclabili o semplicemente biodegradabili; per lo studio del nuovo concept in questa fase è determinante ripartire dalla centralità dell’utilizzatore del prodotto, l’uso dello stesso e della sua funzione. Proprio in questa fase di osservazione dell’utilizzatore e della funzione può essere interessante integrare il progetto con una fase di ricerca di soluzioni già attuate in “natura”; il movimento della biomimica può essere di grande ispirazione comprendendo la ricerca e l’imitazione delle strutture e delle relative soluzioni con cui la natura risolve determinate funzioni (vedi biomimicry.org).
- Nuovi materiali; esiste una miniera di nuovi materiali registrati in varie materioteche del mondo, oltre al sempre possibile ritorno a materiali naturali; in tutti i casi, la ricerca deve essere assistita dalla valutazione di impatto ambientale del materiale considerato il suo ciclo di vita dall’estrazione dei componenti sino al fine vita (Life Cycle Assessment). I fattori della ricerca per la selezione dei materiali devono comprendere:
– valutazione LCA (che consideri anche la fase di fine vita del materiale);
– assenza di sostanze tossiche (sostanze incluse nel regolamento REACH e altre che impediscono la riusabilità o riciclo del materiale);
– possibilità di riuso, riciclo o biodegradabilità. - Ricerca; comprende attività di laboratorio per realizzare un nuovo materiale, modificando i componenti, non più tossici, da sostituire nei prodotti attuali; anche in questo caso le reazioni e le soluzioni già presenti in natura possono essere fonte di ispirazione.
In termini più generali il design deve considerare le opportunità di riuso dei componenti e dei materiali partendo dalla loro agevole disassemblabilità. In considerazione di quest’ultima caratteristica imprescindibile la composizione dei materiali potrà comprendere anche la modularità degli elementi perché possano essere utilizzati in modi diversi e/o riutilizzati in altri sistemi.
Per quanto riguarda, infine, gli aspetti del riuso o del riciclo, il fine vita auspicabile dei materiali è che rimanga nel sistema industriale all’infinito come componente oppure in processi di rilavorazione per il riuso come materiale in nuovi cicli industriali. In questi termini la progettazione eco-sostenibile può considerare alternative la progettazione di un nuovo concept di prodotto con le caratteristiche descritte sopra oppure la chiusura del ciclo di utilizzo dei materiali attuali e della loro rigenerazione in processi strutturati.
Per questi obiettivi si apre una nuova era della collaborazione tra imprese, il mondo scientifico della ricerca, designers industriali e architetti; un processo complesso realizzabile grazie alla grande determinazione nella visione delle imprese ed al contributo di nuove professionalità di raccordo tra le discipline scientifiche e di gestione dell’innovazione per l’ecosostenibilità.
La Guida del Metodo Forethinking©, “Eco-design, un mondo da riprogettare”, è uno strumento utile per un’immediata comprensione dei nuovi scenari competitivi e degli strumenti per la progettazione di prodotti/servizi di nuova generazione ed ecosostenibili.
Gennaro Durante
Founder Forethinking Srl